L’oeil cacodylate

visioni

Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti.
Perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.
Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall’orbita e non voler ritornare.


 
 
 

Agosto 2007

Dopo decine di tentativi improbabili, innumerevoli  barriere
linguistiche non superate – barriere che diventano labirintiche
muraglie quando tra me e l’interlocutore c’è di mezzo il subdolo apparecchio inventato da Antonio Meucci
– e continui smarrimenti nella selva di un idioma ancora oscuro, come
in un famoso film di una famosa figlia di un regista italoamericano
molto famoso
; ce l’ho finalmente fatta. Ho trovato un lavoro!
Da un mese faccio il magazziniere-operaio per la Healy Australia, rivenditrice all’ingrosso di occhiali e affini.
La conversazione telefonica con il responsabile delle umane risorse della ditta
è
stata una delle meno imbarazzanti di tutta la mia recherche: se non
altro sono riuscito ad intuire l’indirizzo e l’orario dell’appuntamento
per il colloquio. Immediata, a quel punto,
l’assegnazione del posto, data l’inesistente specializzazione richiesta per lo svolgimento delle mie mansioni.

La Healy acquista, principalmente sul mercato
asiatico, montature di occhiali da sole e da vista, astucci
portaocchiali, pezzuole e spray puliscilenti and stuff like that; poi
personalizza tutto questo materiale con i logotipi di ottici e
optometristi austrambiani; infine spedisce il prodotto finito ai suoi
clienti dettaglianti. Io lavoro al reparto "astucci e pezzuole"
insieme a Martin, Zak e Keith.
Ogni giorno arrivano in magazzino decine di scatole cinesi: dove "cinesi" è da intendersi non solo nel senso denotativo e banale del termine (made in China) ma anche, in qualche modo, nel senso connotativo e tronchettiproveristico dello stesso.
Ogni scatola, infatti, contiene un certo numero
di scatole più piccole che contengono a loro volta una serie di scatole
ancora più piccole che contengono a loro volta un foglio di carta
velina che avvolge, da par suo, un astuccio portaocchiali.
Il mio lavoro consiste nello scartare tutto questo materiale, comprese le pezzuole – che però,
per fortuna, arrivano in un’unica scatola… anch’essa cinese -,
stamparlo serigraficamente, aspettare poi che l’inchiostro si asciughi,
e infine rimpacchettare il tutto, stando attento a non dimenticare
l’esatta posizione occupata
nel pacco "contenitore"
da ogni pacco "contenuto": pena l’impossibilità di richiudere
propriamente il tutto e l’infernale contrappasso del disimballaggio e
rimballaggio, come in una sorta di infinito Sokoban, cervellotico
videogioco giapponese degli anni ’80 che meglio di Tetris esprime la ratio del fare i pacchi…
L’operazione di stampa prevede una piccola
catena di montaggio di due persone: prendi l’astuccio o la pezzuola
poggialo sulla stampatrice aspetta che l’altro ingranaggio della catena
(di solito Martin) stampi il pezzo riponi il pezzo su una grata di
metallo affinché si asciughi tieni a bada la foga di Martin (ragazzo di
origini ceche, forse geneticamente
compromesso dalla disciplina comunista) spesso
rapito da trance stampatoria che gli fa aumentare forsennatamente il
ritmo di produzione costringendoti ad un insensato stakhanovismo, e
continua così senza posa ripetuta ripetuta brr brr ripetuta ripetuta ripetutamente.
In tal modo, tra afrori di inchiostro e acquaragia, conati luddisti – acuiti dalla scoperta che la stampante serigrafante è italiana (esattamente milanese) e dall’essenza martellante delle radio austrambiane con le loro ossessive tracklist -, visioni psicodolciarie – gli astucci colorati lasciati ad asciugare sui carrelli a ripiani che diventano i cornetti appena usciti dal forno dello schizzoide (noto pasticciere romano), l’inchiostro utilizzato per la stampante e spalmato sul telaio con una spatola che si trasforma in nutella cosparsa su una crêpe calda
e tanti, lunghi sbadigli, le ore scorrono lente, ritmate dal rumore
delle macchine, nel magazzino-officina che non a caso si trova in
Chaplin drive.
Questo il ritmo di produzione – da fare invidia al povero Lulù Massa-Volontè
– calcolato approssimativamente su sei ore di lavoro: 1 astuccio (o
pezzuola) ogni 6 secondi, 10 astucci al minuto, 100 astucci ogni 10
minuti:
pi
ù di 3000 pezzi al giorno!
Ad ogni modo, stranamente, non mi lamento: il lavoro manuale fa bene allo spirito e, soprattutto, al portafoglio: i dollari netti, alla fine del mese, sono 2240.
E
mi sovvien la ministeriale Schiappa Padoana – o l’alter ego ragionier
Treconti di là da venire -, con i suoi quotidiani quattro morti
schioppati sul lavoro e con i suoi pensionati forzati a rubare un chilo
di pasta al supermercato per non morire di fame!

A questo punto, data l’enorme quantità di astucci scartati e rincartati,
e il forte simbolismo degli oggetti "occhiali" e "custodie", il
narratore avrebbe voluto lanciare il concorso "Dippold the optician –
Message in a case. Scrivete un messaggio agli austrambiani e
l’austrambio lo spedirà per voi, via portaocchiali". Il vincitore,
selezionato in seguito a un gran concorso, avrebbe avuto in premio un
fodero in finta pelle modello "Trevet".

Ma forse oramai è un po’ tardi…

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3 Responses to L’oeil cacodylate

  1. austrambio says:

    Thanks and… check it out…
    In arrivo nuovi post

  2. ZiEr says:

    Bentornato al Lupo Austrambiano
    Bentornati Lupi… C…siamo adesso
    uno AbRaXo da Zier

  3. Ika says:

    Finalmente…

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